Fenomeno smart-working. Ci crediamo ancora?

13 Aprile 2023

A pochi mesi dalla fine della pandemia decretata dall’Ocse, il mondo del lavoro mette un freno allo smart-working in tutto il mondo.

I primi a controvertire questa tendenza sono proprio gli uffici di Wall Street, che avevano dato il via al fenomeno che ha coinvolto il 51% dei lavoratori.

Il motivo è la produttività.
Lavorare in ufficio, infatti, stimola la produttività perchè favorisce comportamenti virtuosi di imitazione e sana concorrenza, permette di stabilire rapporti di scambio e reciprocità, agevola la risoluzione di problemi o emergenze in tempi più brevi rispetto alle alternative a distanza.

Fondere la vita lavorativa con quella personale inoltre, alla lunga può generare un corto circuito deleterio dato dall’isolamento prolungato e dalla conseguente mancanza di interazioni e confronti che ostacolano lo sviluppo di nuove idee.

Anche l’Italia seguirà questa tendenza?

Pare proprio di si: un sondaggio condotto tra le grandi aziende italiane mostrano la volontà di istituire una soluzione ibrida tra smart working e ufficio, in base alla tipologia del lavoro.

Una richiesta che parte dagli stessi dipendenti: un sondaggio di Manpower mostra come il 32% dei lavoratori in smart abbia meno possibilità di accesso a promozioni e avanzamenti di carriera.

Lo smart working penalizza le donne

Ultimo dato che arriva dall’America riguarda la condizione di genere.

La società d consulenza McKinsey ha calcolato che una donna su quattro ha lasciato o pensato di lasciare il lavoro una volta avviato lo smart working in pandemia.

Questo fenomeno, noto come “pandemic gender effect” dipende dalla difficoltà delle donne di gestire gli oneri familiari che, senza la parentesi salvifica del lavoro, le coinvolge al 100%.

Inoltre, la distanza dalla sede, ha annulato il lento, ma progressivo avanzamento delle carriere per il genere femminile.

Anche la DAD a scuola non è piaciuta

Esito negativo anche per la DAD non solo come metodo di apprendimento (i risultati invasi sono stati valutati disastrosi) ma anche per la mancata occasione di iniziare ad adottare sistemi digitali a scuola.

Fondazione Agnelli rileva che, fra l 85 e il 93% degli studenti, a seconda delle materie, indica proprio il vecchio libro di testo come materiale didattico chiesto dai docenti per le attività in DAD.

Fermo restando che la nostra idea è quella di una scuola aperta, capace di creare relazioni e confronti, non sottovalutiamo le opportunità che la DAD mette a disposizione, e sfruttarne le potenzialità quando si rende necessario.

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