Il nostro Paese è privo di cultura del lavoro.

21 Ottobre 2021

Quando la scuola superiore raccontata dai media è anacronistica e stonata.

La replica del Presidente Orazio Zenorini a Il Sole 24 Ore.

Spesso ci troviamo a leggere dati sulla stato della disoccupazione in Italia che contrasta con la crescente domanda di personale specializzato richiesto dalle aziende.

Un dato che dovrebbe far riflettere sulle opportunità di un futuro lavorativo che le scuole di formazione professionale possono offrire.

Eppure gli organi di stampa e i media, tendono ancora oggi a classificare le scuole in base a pregiudizi basati sul passato, che non tengono in considerazione l’evoluzione della società fluida in cui viviamo e nemmeno la radicale trasformazione del mondo del lavoro e delle figure professionali ad esso connesse.

Ma c’è di più. 

I media continuano a fornire una classificazione elitaria del mondo della scuola, relegando le scuole professionali, quelle del fare, come scuole di livello inferiore rispetto al Liceo, come si legge in questo articolo di qualche mese fa, uscito in pieno periodo di pre-iscrizioni.

Studiare tanto per essere insostituibili, questa è la vera sfida per i giovani – Il Sole 24 ORE

https://www.ilsole24ore.com/art/studiare-tanto-essere-insostituibili-questa-e-vera-sfida-i-giovani-ACx7ubBB?utm_medium

Presentare il Liceo come unica soluzione per creare “giovani pensanti e insostituibili” e per questo di sicuro successo, non solo è anacronistico ma “stonato” in termini di opportunità.

Il Presidente Orazio Zenorini in replica al Sole 24 ore, offre un momento di riflessione sui giovani e sulla società di oggi, per non offuscare la scelta della scuola dal desiderio di “scalata sociale” – talvolta più dei genitori che degli studenti e studentesse, ma sulle reali opportunità, propensioni e interessi.

“Non è onestamente facile contestare dal punto di vista del principio l’assunto di fondo di questo articolo apparso su Il Sole 24 ore qualche mese fa in pieno periodo di pre-iscrizioni e cioè che a tutti vanno date uguali opportunità.

Il principio di uguali opportunità a tutti, come se tutti fossimo uguali, appare stonato. 

Un modo formidabile per perpetrare le diseguaglianze è pensare e comportarsi come se tutti partissimo allineati ai blocchi di partenza.

Certo che personalmente avrei fatto fatica a pensare alle mie figlie in una Scuola diversa dal Liceo. Tuttavia le mie figlie non sono uscite dalla Scuola Media con “sufficiente” come invece oggi accade per un numero di ragazzi e ragazze sempre più alto che nell’anno scolastico da poco iniziato hanno fatto schizzare le iscrizioni ai Licei a quasi il 60 per cento. 

Le mie figlie in famiglia sono state affiancate durante tutto il loro iter scolastico, incoraggiate e supportate fattivamente al bisogno. Eravamo nelle condizioni di poterlo fare da più punti di vista. Ma non tutti i genitori sono in grado di dare il medesimo sostegno scolastico ai loro figli e non per questo sono cattivi genitori. Tutt’altro.

Chi poi esce con il minimo della valutazione dal segmento scolastico orientante “ope legis” e si iscrive al Liceo, è come se con la fasce ai piedi, si iscrivesse alla corsa campestre. 

Dopo qualche sgambata si ritira.”

L’attitudine allo studio è senza dubbio una condizione fondamentale per affrontare una scuola più teorica e meno pratica, ma alle capacità intellettive non va dimenticato il fondamentale apporto delle famiglie nella crescita scolastica, che necessita di incoraggiamento e supporto al bisogno.

“Non tutti i genitori possono di dare il medesimo sostegno ai loro figli e non per questo sono cattivi genitori.” continua il Presidente.

Anche il Liceo così come inteso nell’immaginario collettivo è radicalmente cambiato.

“Con il termine Liceo ci riferiamo a varie tipologie di percorsi scolastici, dalla vecchie magistrali ai Licei musicali o dello Sport e a tanto altro che si rifà il volto, spesso solo quello, facendosi chiamare Liceo. 

Il ricorso massiccio ai Licei – non al Liceo – si fonda più su un frainteso, seppur legittimo, desiderio di scalata sociale in un Paese che ne ha visto arrestarsi l’ascensore da almeno tre decenni. 

Insomma, il desiderio è legittimo ma la realtà è un’altra cosa e, quando molti di questi ragazzi e di queste ragazze abbandonano, faticano a rientrare nel circuito formativo. 

Se vi rientrano, visto il nostro poco invidiabile record europeo di ragazzi e ragazze che non studiano nè lavorano. 

Nel nostro Paese sono ben 2 milioni.”

Giovani che non possono quindi essere abbandonati a sé stessi, affinché non si facciano vincere dalle delusioni, travolgere dagli insuccessi, coltivare un pensiero fragile del proprio essere.

“Occorre ricostruire la loro autostima, arginare la loro rabbia, aiutarli a costruire un progetto di vita che l’insuccesso scolastico ha reso ancora più difficile, talvolta addirittura angosciante. 

Non di rado, purtroppo, questa angoscia si traduce in forme di auto ed etero distruzione o in latenti stati depressivi che finiscono con il causare reiterati abbandoni del compito. 

Se non si vuole cadere nella superficialità ed in un vacuo egualitarismo radical-chic, gli spaccati di realtà non dico che occorra viverli, ma almeno prendersi la briga di conoscerli. 

Questo doverosamente, in nome della deontologia professionale se non si vuole scomodare dell’altro.

Diciamola tutta. Il nostro Paese è privo di cultura del lavoro. 

Siamo ancora fermi a Gentile negli anni venti del secolo scorso. 

Il primato del Liceo come Scuola delle classi dirigenti, di coloro che sono chiamati a pensare contrapposti a coloro che invece della testa devono utilizzare le volgari mani. 

Intanto negli altri Paesi a partire da quelli europei, Germania, Francia ma anche Spagna in testa, si è sviluppata una filiera formativa terziaria che coinvolge centinaia di migliaia di giovani che entrano nelle aziende con alte competenza personali e professionali. 

Le nostre ITS Academy – la nostrana formazione terziaria professionalizzante – in tutta Italia coinvolgono poco più di 18 mila allievi. Intanto quasi la metà delle nostre aziende dichiara di non trovare le competenze di cui ha bisogno. 

Se non si vuole cadere nella superficialità ed in un vacuo egualitarismo radical chic gli spaccati di realtà non dico che occorra viverli ma almeno prendersi la briga di conoscerli. Questo doverosamente, in nome della deontologia professionale se non si vuole scomodare dell’altro.”

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